lunedì 30 marzo 2009

E poi... poi c'è una perla in Ohio (Laurie Meseroll)

























Sì, e poi c'è Laurie Meseroll, che dalla sua grande casa in Ohio pullulante di bambini, cani e gatti... reitera la vibrante fissità di quelle pale d'altare. Sembra quasi che longitudine e latitudine, secoli e secoli di distanza si sfaldino davanti alla grazia antica dei suoi ritratti. http://www.artchickshtick.com/)...
tout se tient!




Un tondo perfetto: Cimabue (Firenze 1240 ca. - Pisa 1302) e Giotto (Vespignano 1267 - Firenze 1337)




Questa settimana conto di andare a vedere la mostra GIOTTO E IL '300 e intanto mi ricordo di queste due enormi pale d'altare. Che sono la cosa piu' bella (per me, allora adolescente, inaspettatamente bella) vista agli Uffizi ormai moltissimi anni fa, la prima volta che c'ho messo piede. Gigantesche, dorate e calde, fisse e ammiccanti, maestose e dolcissime. Ne fui letteralmente rapita e dovetti velocemente ricredermi sulla retorica bieca che sprigionava dai libri di scuola a proposito di Giotto e Cimabue.
Il tondo perfetto del giovane Giotto, se Vasari racconta il vero, doveva esser perfetto come null'altro. C'è tanta di quella architettonica padronanza e sapienza in queste due pale, che nella maestà raccontano la viva e alacre semplicità del tempo e, soprattutto, celebrano con evidente forza laica la maternità della ma-donna. La verità è che questi due ritratti sfondano la muraglia della ieraticità bizantina pur reiterandone le pose canoniche e sono consustanziati di una passionalità ben governata. Sono illuminati, pieni, sferici, appunto, dell' intelligenza che li pervade. Che in Cimabue è tutta mitezza, in Giotto - a ben guardare - lancia una sfida. Perchè lo sguardo della sua vergine (quella su sfondo d'oro) non è esente da una sorta di baldanza muliebre, da una possanza che interroga chi la guarda e che non puo' non cogliere nella sua matronale compostezza un guizzo come di santa ribellione. Un'onda di pacifica ed eterna belligeranza.

venerdì 13 febbraio 2009

Henry Darger (Chicago, 12 aprile 1892 – Chicago, 13 aprile 1973)






La prima volta che ho incontrato Henry Darger è stato lo scorso 28 ottobre, a casa di un conoscente a New York. Ero seduta nella penombra davanti ad una grande finestra in un cottage antico e scricchiolante, davanti a me, in quella parte del Bronx nota come Riverdale, un'ansa iridescnte dell'Hudson. Al tramonto, mentre gli aceri rossoreggiavano come da copione e le anatre scivolavano sul pelo d'acqua, l'occhio m'è caduto sulla costa di un catalogo ancora incellophanato intitolato a Darger. Ho chiesto chi fosse e mi è stata raccontata la strana storia di un uomo schivo e misterioso nella cui piccola abitazione di Chicago, post mortem, il locatore rinveni' centinaia di tele e cartoni dipinti. Il giorno dopo, nell'American Folk Art Musem (quando visito le grandi città riesco non si sa come a mancare i grandi musei e a cacciarmi in quelli piccoli, questo è a due passi dal MOMA) Darger mi è venuto incontro, essendo a lui dedicata una sala di questa raccolta di arte varia, folklorica nel senso piu' ampio del termine. E nella pace assoluta di quel luogo appartato una strana inquietudine mi ha lambita e invasa poco a poco.
Darger, che faceva il custode per campare, ha riempito per tutta la vita con smania ossessiva grandi superfici di una narrazione per immagini che potremmo annoverare trai cicli epici. The story of the Vivian Girls (anche nota come The Realm of Unreal) narra di una schiatta di vergini fanciulle orribilmente e a vario titolo perseguitate. La colorazione di questi grandi pannelli è perloppiu' ad acquarello, ma la trama fitta di rimandi e simbolismi è in molta parte tessuta d'inserti a collage. In questa saga di volti paffuti, di chiome dorate, di manine protese a cogliere teneri virgulti, occhieggiano visioni macabre, simulacri religiosi, mostruosità animalesche. In un'alone di luce sempre chiaro s'intrecciano corpi e visioni che alludono di continuo ad una qualche latente mostruosità. Darger ritaglia o copia dalle pubblicità dell'epoca lieti musetti di bebè e li dissemina sul fondo di una specie di giardino botanico dell'orrore. Anche nei cartoni meno espliciti s'intuisce che questa delle Vivian Girls è una storia di corpi votati alla profanazione, alla tortura e al sacrificio. Nella luce calda di una primavera già sfiorita Darger dissemina una levità compenetrata di morte. Un richiamo muto serpeggia tra rami ritorti e carichi di boccioli, l'aria si rapprende attrono ai cappellini, ai fiocchi, alle gale di figurette perennemente incantate da un sospetto di Male, esse stesse non piu' innocenti per il fatto che intuiscono e levitano dentro un'aura di disfacimento e corruzione. A tratti la violenza erompe esplicitamente, patiboli e cappi da forca, lame che incidono, corpi nudi e dilaniati. Ma non è lì che il senso della fine percorre la sua teoria piu' vasta, lì si compie. E' in tutto il resto che si addensa maggiormente, laddove lo sguardo ne coglie l'annuncio. Darger racconta la morte piu' di tutto trai fiori e le farfalle, nei ritratti di un'infanzia sospesa e raggelata, nel suo palpitare sul fondo della ragnatela.
Considerato un esempio da manuale della cosidetta Outsider Art. Henry Darger è stato addirittura sospettato di essere stato un serial killer. La sua strabiliante, originalissima opera racconta spazi dell'inconscio che la razionalità preferisce a suo modo esorcizzare.

lunedì 9 febbraio 2009

Mia nonna Ginevra, il naif e dintorni...









La nonna Ginevra dipingeva di notte, soffriva d'insonnia e quando non spostava mobili per casa (una vecchia grande casa d'altri tempi, dove i rumori venivano trattenuti da spesse mura ed era lecito anche trafficare nottetempo con buona pace dei dormienti) metteva mano a tele improvvisate e pennelli. Come Seraphine Louis prediligeva fiori, ramage, verzura varia. Sua la casetta in mezzo al bosco di coralli che potete vedere qui. Era una vera, autentica naif. Cioè una pittrice che approdava al naif partendo dalla profondità e, dunque, arrivando a semplificare per naturale vocazione. Non per scelta consapevole, non per calcolo e mira. Ma per filiazione diretta della mano da una coscienza remota. Questo è il naif. Una cordata in risalita verso la verità, mai comodo escamotage o semplificazione del tratto. Il naif è una fonte meravigliosa, la fonte cioe' dalla quale zampilla un' impressionante quantità di cose celate e tutt'altro che scontate. Ed è, anche, una dimensione di grande libertà espressiva. Di armonia, anche rozza a volte, ma appunto vera, poichè riconduce lo spessore e le pieghe dell'inconscio alle dinamiche certe della natura. Il naif è natura, che si tratti di un carciofo o di una faccia rubizza, di un fiume che scorre o di una schiena ingobbita sotto un qualche giogo. E' non ne è la sua espressione piu' ingenua, no, bensì quella piu' narrativa e dunque - a modo suo - sofisticata. Perchè sempre, sempre, il naif racconta e dunque rielabora molto piu' di quanto non appaia.
E io lo adoro, forse s'è capito.

venerdì 6 febbraio 2009

Seraphine Louis de Senlis (1864-1942) Maria Trentadue (1893-1977)
























Scopro oggi leggendo la Repubblica una bravissima pittrice francese, Seraphine Louis, la cui storia somiglia molto a quella della pugliese Maria Trentadue. Due persone modeste culturalmente, almeno in apparenza, vissute lavorando con sacrificio e coltivando in segreto un incredibile talento. Sono due esempi di naif di alto rango, alla stregua di Ligabue per intenderci. E ammetto che la loro storia, intessuta di bellezza, dolore e poesia, mi commuove. Mi commuove il loro mistero, la caparbietà. Perchè in entrambi i casi le l'arte ha dovuto vincere il pregiudizio e di sicuro anche il senso del ridicolo. Stando a quello che ho letto di Maria Trentadue, le figlie, vedendola in tarda età armeggiare da mane a sera con vernici e pennelli, muovevano rimproveri ottusi, reclamavano decoro e senso dell'opportunità. Ma lei andava avanti a capo basso, dipingeva tutto, tele, battilardo, bottiglie, piatti.
In Francia è ancora nelle sale quello che indovino essere un bellissimo film su Seraphine Louis, del cineasta Martin Provost. Sarebbe bello se qualcuno volesse raccontare anche la storia di Maria.
Della prima (che vedete accanto ad una tela) pubblico due tra gl'incredibili, lussureggianti mazzi di fiori, della seconda (che vedete seduta e assorta) una deliziosa bagnante dall'aria picassiana ed una coppietta con cane al guinzaglio.
Ma vorrei tornare sul concetto di naif, credo di dover spiegare perchè questa forma di espressione pittorica mi è particolarmente cara.

giovedì 5 febbraio 2009


Apprendo ora che un Italiano, Alessandro Gottardo, 31 anni, verra' insignito domani della medaglia d'oro da parte dell'americana Society of Illustrators.
Gottardo - che a quanto capisco vive a Milano - spiega di non lavorare in Italia, tranne rare eccezioni collabora con testate straniere e stranieri sono in gran parte i suoi committenti.
Nel 2002 sono andata "in pellegrinaggio" a New York nella sede della Society of Illustrators sulla 63a e rimasi a momenti delusa dalla scenografia modesta della sede. Al tempo stesso si respirava, curiosamente, un'aria consumata e pero' viva. Come di un posto che non avesse bisogno di mascherate per rispondere ad una vocazione. Come di un luogo ordinario, in cui avvengono cose ordinarie. Le cose, insomma, che hanno una cornice certa e una cadenza regolare, che dunque si sono conquistate da quel dì il loro spazio e la loro dignità.
E' l'ennesima volta che si risà di un illustratore-illustratrice che esporta massicciamente il suo talento. Credo si tratti di una realtà dettata dal bisogno, oltrechè dall'esigenza di essere stimolati e di produrre ad un buon livello.
Questo paese, L'Italia, è sottolivellato.
Bisogna rimboccarsi le maniche. Bisogna.

domenica 17 agosto 2008

Dove stiamo andando?




Nel regno delle cose illustrate, dove tutto può sempre accadere (come ogni regno ha qualcuno che lo governa: la bellezza... concetto su cui, ad ogni modo, converrà tornare).
Lasciatemi cominciare da un caro amico, Peter Selgin - sua anche l'immagine dell'intestazione del blog. L'ho scoperto ormai quattro anni fa navigando in rete e sono rimasta incantata dal calore delle sue opere. Peter in realtà è piuttosto pittore che illustratore, ma il suo lavoro mi fa invariabilmente pensare ai libri illustrati, ricco di dettagli. Dunque intrinsecamente narrativo.
Come definire il suo stile? Un "naif moderno", un "naif" cioè che prefigura l'astratto. Peter comincia da forme geometriche, che lavora aggiungendo masse di denso colore caldo, costruendo un mondo vivido e allegro. Questo stile "affettuoso" e descrittivo (didascalico?) appartiene per vocazione all'illustrazione di tipo anglosassone. Ma anche su questa peculiarità vorrei soffermarmi più avanti...